Mattia Caldara ha annunciato il suo ritiro dal calcio giocato a metà novembre 2025, dopo l’ultima esperienza in Serie B con la maglia del Modena. Il difensore ha deciso di appendere gli scarpini al chiodo a soli 31 anni, dopo una serie di infortuni gravi. L’ex giocatore dell’Atalanta è stato l’ospite dell’ultima puntata del podcast Centrocampo e tra i tanti temi affrontati c’è stato grande spazio per la parentesi vissuta a Bergamo, con 93 presenze e 10 reti realizzate con la maglia della Dea.
Le giovanili dell’Atalanta - “Quando c’era Colantuono a Bergamo mi sentivo molto inferiore agli altri. Nel periodo dell’esordio con lui in panchina, nel 2014, pensavo di non essere ai quei livelli, di non essere da Serie A. Ero acerbo e ho scelto di fare un altro anno in Primavera da fuori quota. Ho accettato di buon grado, quell’anno mi è servito per prendere più responsabilità, mi sentivo più importante e ho fatto bene. Da lì ho detto posso giocare in Serie B o Serie C, così mi sono spostato prima a Trapani e poi a Cesena”.
Il primo ritiro con Gasperini - “Nella prima preparazione con Gasperini facevo una fatica incredibile nelle corse. Era una cosa che non avevo mai provato e mi rendevo conto di andare piano. Abbiamo fatto un’amichevole contro il Renate, avevo combinato disastri ed ero sicuro che sarei stato mandato via ad agosto. Invece no, sono rimasto lì anche sapendo che avrei fatto fatica a giocare. Verso ottobre ho iniziato ad andare davvero forte, mi ero adattato a quel tipo d’intensità. Avevo fiducia, il mio corpo era pronto. Le corse durante la preparazione di Gasperini le ho in testa ancora adesso”.
L’esordio da titolare contro il Napoli - “L’ho saputo la sera prima. Non pensavo di giocare, mi trovai da solo in ascensore con il mister dopo la cena del sabato sera e mi chiese se fossi pronto. Quando mi ha detto quelle parole ho pensato che fosse matto a pensare di voler farmi giocare. Quella notte non dormii, il giorno dopo arrivarono le formazioni ufficiali e io c’ero. Mi sentivo pronto a livello fisico e a livello mentale ed è andata bene, nonostante l’ansia prima del fischio d’inizio. Quando stai bene fisicamente pensi sempre di potertela giocare. A fine partita realizzai la grandezza del momento, era un periodo non bello per l’Atalanta, venivamo da diverse sconfitte e ci rendemmo conto che stava nascendo qualcosa”.
Il rapporto con Gasperini - “La cosa che mi è rimasta più impressa nella mente è la sua convinzione in quel momento di poter lavorare con noi, di aver percepito qualcosa. Lui contro il Napoli scelse di far giocare noi giovani in una situazione difficile, mettendo le sue idee davanti a tutto, anche quando era a rischio esonero. Lui ci metteva ovviamente del suo con noi, poi si è creata un’alchimia incredibile. Eravamo un gruppo giovane e lo seguivamo in tutto, eravamo molto amici tra di noi e abbiamo avuto una crescita continua. Lui il primo anno si rese conto subito che potevamo ambire a qualcosa di grande, noi lo capimmo solo verso gennaio. Tutta la squadra cresceva anche nella fame, volevamo emergere, la città e la società erano felici del nostro percorso e noi non abbiamo mai mollato mentalmente, era la nostra occasione della vita. Lui è stato bravo, in un anno andavamo il doppio degli altri fisicamente e ci ha dato una fiducia incredibile. Un difetto? Calcisticamente parlando è difficile, lui ha cambiato il calcio. Era solo un po’ permaloso, nel bene e nel male vuole avere ragione, ma alla fine si è visto che risultati ha raggiunto".
L’interessamento della Juventus - “Mi dissero che la Juventus non mi voleva prendere subito ed ero contento, non mi sentivo pronto. Poi mi hanno detto che volevano acquistarmi, lasciandomi 1 anno e mezzo in prestito all’Atalanta. In quell’anno e mezzo ero sempre più osservato, anche a Bergamo. In 5-6 mesi la mia vita è cambiata, ma quell’anno e mezzo è stato positivo”.
Ilicic - “Era sopra a tutti gli altri. Quello che ho visto fare a lui in quegli anni all’Atalanta non l’ho mai più visto. Non mi sembrava vero, così alto e così tecnico. Lui faceva le robe che faceva il Papu, ma con 30 centimetri di altezza in più. Per me Ilicic è la definizione di calcio e Gasperini gli ha dato quella voglia di emergere, i suoi numeri poi hanno parlato. Durante gli allenamenti spingeva e andava più forte degli altri, mi ha sorpreso da quel punto di vista lì”.
Papu Gomez - “Il mio primo anno all’Atalanta vedevo in lui un idolo, faceva delle cose che non avevo visto prima, a livello tecnico ne ho visti pochi così. Si è fatto riconoscere come leader umile, aiutava noi giovani, se doveva criticarci lo faceva in maniera costruttiva. È stato il primo top giocatore che ho visto e averlo in squadra era fantastico, una persona da 10. Dopo Gasperini era lui il leader nello spogliatoio, ci ha dato tanto e ci ha sempre spronato a fare di più”.
Muriel - “Muriel è un giocatore sottovalutato, poteva fare il quadruplo di quello che poi ha effettivamente fatto in carriera. Mi ricordava davvero Ronaldo, per le sue movenze in partita e in allenamento. Aveva tocchi che vedi raramente, faceva cose impensabili, era magico”.
Il ritorno all’Atalanta - “Cambiare aria da Milano mi ha fatto bene, ma fisicamente stavo ancora male, avevo dolore al ginocchio. Cambiare la routine della mia giornata mi ha aiutato, ero consumato a livello fisico e mentale in quel periodo lì. A ottobre di quell’anno mi sono dovuto operare di nuovo al tendine rotuleo, giocavo sempre con punture e antidolorifici. A fine marzo sono tornato, ma non mi sentivo più quello di prima, volevo lasciare a Bergamo un ricordo bello. Non mi sentivo più in grado di fornire certe prestazioni, tornando indietro sarebbe stato meglio rimanere all’Atalanta, ma mentalmente non ero in condizione di farlo, mi sentivo di troppo".
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