La domanda non è tanto chi avrebbe voluto Juric a Bergamo, ma più che altro chi se lo sarebbe immaginato sulla panchina dell’Atalanta. Il tecnico croato, d’altronde, è reduce da due esperienze totalmente fallimentari tra Roma e Southampton ed è legittimo che la piazza si aspettasse qualcosa di più. Non solo per l’eredità pesante che il nuovo allenatore si trova a raccogliere, ma anche e forse soprattutto perché la Dea è arrivata terza in Serie A e giocherà la Champions League, due fattori non da poco.
LE RAGIONI DELLA SCELTA - E allora perché è stato scelto Juric? Bella domanda. Certamente un ruolo lo ha avuto il forte legame con Tony D’Amico, in cui i Percassi ripongono piena fiducia. E altrettanto importante è stato il calcio che Juric è solito proporre. Fin dai primi momenti in cui è stato chiaro l’addio di Gasperini, è stata chiara anche la linea della società. Nessuna rivoluzione tecnica, ma la voglia di trovare un allenatore in grado di inserirsi nel solco lasciato dal Gasp. Giusto così? Lo dirà il campo. Di certo, come dicevamo, l’eredità è ingombrante e forse proprio lì si nasconde la ragione più intima della scelta di Juric. L’Atalanta ha sentito il bisogno, dopo un’esperienza totalizzante come quella di Gasperini, di togliere un po’ di centralità all’allenatore e di riportare sotto i riflettori la squadra e le idee e i valori con cui viene costruita.
IL MERCATO, UN SEGNALE - Il mal di pancia di gran parte della piazza, però, è più che legittimo. Per quanto si cerchino ragioni, c’è un dato di fatto: la scelta di Juric è un importante passo indietro, almeno sulla carta. Palladino e Motta, per citare gli ultimi due allenatori rimasti in corsa prima della scelta del croato, non avrebbero forse portato giubilo, ma di certo sarebbero stati accompagnati da uno scetticismo molto minore. Un ruolo chiave lo giocherà, allora, il mercato. Perché se è vero che la panchina ha deluso, una campagna acquisti sotto le aspettative darebbe la mazzata finale. Sì, certo, siamo l’Atalanta, ma la Dea in questi anni si è guadagnata con fatica il suo posto al sole: perché gettare tutto il lavoro alle ortiche? E se i grandi nomi dati in partenza non dovessero essere rimpiazzati allora qualche dubbio verrebbe.
LA MATURITÀ DELLA PIAZZA - “Parole, parole, parole”, potrebbe dire qualcuno. Sarà il campo a parlare e a quel punto si potrà giudicare. Per Bergamo, però, questa fase sarà un’importante prova di maturità, per capire se la piazza, dopo gli scintillanti anni gasperiniani, non ha perso il suo smalto e il suo attaccamento. Se saprà dare, come ha sempre fatto, il suo sostegno incondizionato o se anche a queste latitudini qualcuno ha ormai la pancia piena. “La maglia sudata sempre”, allora. I bilanci, invece, quando sarà il momento.
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