Gianluca Scamacca si è aperto in un’intervista alla Gazzetta dello Sport, raccontando senza filtri il momento complicato che sta vivendo. Lontano dal campo da mesi, l’attaccante dell’Atalanta ha parlato della voglia di tornare, delle difficoltà affrontate e di come stia cercando di trasformare questo periodo in un’occasione per crescere, ritrovare equilibrio e guardare avanti con ancora più fame e determinazione.
Sul momento delicato che sta attraversando...
“È il momento più difficile della mia carriera perché non ero mai stato lontano dal campo così tanto. Ma è anche quello che mi ha messo davanti ad uno specchio, alla prova: forse ne avevo bisogno per scoprirmi dentro quel 10% in più che non avevo prima, quando vivevo le difficoltà come tragedie. E invece bastavano solo un po’ di equilibrio e di calma in più. Questa è una sfida che devo affrontare e se lo faccio riuscendo a trovarci un lato positivo, quando tornerò a stare bene avrò la certezza definitiva che un momento di down non è mai la fine. E apprezzerò ancora di più i momenti up. Impermeabile a tutto? Nessuno lo è, ognuno ha le sue strategie per farsi scivolare addosso le cose. La mia è ripetermi che il meglio deve ancora venire, l’anno scorso me lo sono detto ogni giorno fino a Dublino. È focalizzarmi su me stesso, i miei obiettivi, il mio lavoro che mi darà ragione. Perché so già che mi darà ragione. Non è questione di coraggio: ho solo preso una buca. E faccio il lavoro più bello del mondo”.
Sull'infortunio al ginocchio...
“La sfiga da sola non esiste. Feci tutto da solo: un movimento sciocco, di quelli che in allenamento ripeti dieci volte, ma forse ero un po’ stanco. Non fisicamente, anzi stavo una bomba. Magari più di testa: dopo l’Europeo avevo fatto solo venti giorni di vacanza, non avevo sbollito una grande delusione, non ero ancora pulito”.
Sullo stop contro il Torino...
“È quello che dissero gli stupidi, ma tanto nel calcio è così: tutti dottori e tutti allenatori. Fatalità: un contrasto con Ricci, alzo la gamba, vado a vuoto e sento 'tac'. Ho continuato perché mi sono detto: 'Magari capita una palla in area...'. Ma avevo capito subito che mi ero fatto male. Il momento di massimo sconforto? Più di uno, già da agosto, perché tutto quello che l’Atalanta doveva giocare quest’anno lo sentivo mio, me l’ero guadagnato: la Supercoppa europea, la Supercoppa italiana, la mia prima Champions che non vedevo e non vedo l’ora di giocare. Ma il peggiore è stato la sera della partita con il Real: quella che ho sofferto di più da guardare sul divano”.
Sullo stare lontano dai campi...
“Non ho paura perché dipenderà solo da me: se rientri con la paura del trauma, hai perso solo tempo. Ma per come sto facendo le cose, magari ci metterò un mese di più, ma andrò dritto, e starò meglio di prima. Tempi di recupero per il secondo infortunio: quattro mesi e mezzo. Quando riprenderà la preparazione, a metà luglio, ne saranno passati più di cinque: hai voglia...”.
Sull'ipotesi di giocare a fianco di Retegui...
“Due centravanti in rosa non sono mai troppi, qualunque allenatore li vorrebbe. Per come gioca l’Atalanta i due attaccanti devono fare cose diverse e io non faccio quello che fa Lookman: forse sarà più facile in corsa. Dipenderà dalle partite. E da quello che si inventerà il mister...”.
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