Dalla Svizzera a Bergamo, passando per un impatto iniziale difficile e una carriera costruita passo dopo passo, senza scorciatoie. “La Forza del Fare”, lo speciale firmato Lega Serie A, racconta la storia di Berat Djimsiti, difensore dell’Atalanta e uomo che a Bergamo ha trovato molto più di una squadra: ha trovato un’identità, una famiglia, una seconda vita.
“Il calcio è una delle cose più importanti della mia vita, proprio come la famiglia che ho costruito. E credo che non sia una cosa da poco, perché la famiglia per me è qualcosa di molto importante, è l’essenza della società - racconta ad inizio intervista un toccante Djimsiti. Tutto questo mi ha fatto piangere, mi ha portato gioia, mi ha reso felice in ogni fase del mio percorso. È successo tutto insieme. Ma credetemi: nella vita tutto è possibile. Perché quando ho cominciato, di certo non pensavo che sarei arrivato a questo livello”.
Quando è arrivata la chiamata dell’Atalanta, Djimsiti non era ancora il leader che conosciamo oggi. E il calcio italiano, a dirla tutta, lo conosceva poco: “L’impatto iniziale è stato davvero molto difficile, perché, a dire la verità, non avevo mai seguito molto il calcio italiano prima. Guardavo più spesso il calcio tedesco, perché è più vicino alla Svizzera, e anche nella mia famiglia si guardavano più partite della Bundesliga in tv. Ma quando è arrivata la chiamata dell’Atalanta, ho iniziato a informarmi, a guardare le partite, a seguire i giocatori. Quello che mi ha convinto a scegliere l’Italia invece della Svizzera è stato sicuramente il calcio. L’Italia ha sempre avuto una tradizione calcistica fortissima, molto più sviluppata rispetto alla Svizzera, sia come sistema che come livello. È stata una scelta fatta con la testa, pensando alla mia carriera. Volevo costruire qualcosa di importante, avere successo. E credo sia stata una decisione fondamentale.”
A 22 anni, da solo in una città sconosciuta, avrebbe potuto sentirsi spaesato. Invece ha trovato subito un ambiente pronto ad accoglierlo: “All’inizio, però, le difficoltà non sono mancate, soprattutto per la mia età. Avevo solo 22 anni ed ero arrivato in una città dove non conoscevo nessuno. Era naturale voler incontrare nuove persone, e qui mi sono sentito subito accolto”. Oggi Bergamo è molto più di un indirizzo di residenza. È parte di lui, lo dice senza giri di parole: “È una città meravigliosa, piena di turisti che arrivano per scoprire questo posto straordinario. Anche quando sono in vacanza, passo un po’ di tempo qui con la mia famiglia. Potrei girarci un film. Mi sento davvero un bergamasco, perché la mentalità, sotto certi aspetti, è molto simile a quella delle persone che ho conosciuto qui. Credo che siano, in gran parte, persone laboriose e oneste, che fanno molti sacrifici. E credo che questo mi rappresenti bene come persona. Mi sento quasi come se fosse la mia seconda casa”.
Il ricordo del primo incontro con Giovanni Sartori è ancora vivo. E in quelle parole c’era già molto del futuro che lo aspettava: “Me lo ricordo bene: era tutto nuovo per me quando sono arrivato. Parlai con Sartori, che mi disse che aveva scelto di portarmi in squadra e mi parlò dei valori che un calciatore doveva avere per far parte di questo club. Ma mi disse anche una frase che non dimenticherò: ‘Siamo un club che fa crescere i giovani e poi li vende alle squadre più grandi’. Con il tempo la situazione è cambiata: oggi possiamo dire che l’Atalanta è una delle squadre top degli ultimi anni. Non è più esattamente lo stesso club, ma credo che continui a dare grande valore ai giovani”.
E quei valori, anche oggi, sono impressi a fuoco dentro lo spogliatoio: “Il motto dice che bisogna sempre sudare. Nello spogliatoio c’è un logo che lo ricorda. In campo devi dare tutto, sempre. Non importa se vinci o perdi: un giocatore deve poter dire di aver dato tutto quello che aveva, di aver messo l’anima”. Il punto più alto di questo viaggio? Nessun dubbio: “La vittoria dell’Europa League. È stata la ciliegina sulla torta, il traguardo più importante della mia carriera”.
Un trionfo che resterà, certo. Ma Djimsiti spera che a restare, ancora più a lungo, sia il ricordo dell’uomo oltre il calciatore: “Dovrebbero ricordarsi di quel ragazzo semplice, quel lavoratore instancabile che ha sempre dato tutto, l’anima, per questa maglia, per questa città. E spero che abbiano solo belle parole per me, non solo quando deciderò di ritirarmi o se un giorno lascerò l’Atalanta (qui le recenti indiscrezioni dagli Emirati). Spero solo di aver lasciato un bel segno in tutti questi anni, e che la gente parli bene di me. Proprio come io parlerò sempre bene del popolo di Bergamo”.
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