Sì, è ancora prematuro parlare di campo, ma l’arrivo di Raffaele Palladino segna comunque l’inizio di una nuova fase per l’Atalanta. Dopo quasi un decennio di calcio a immagine e somiglianza di Gian Piero Gasperini, e la breve parentesi di Ivan Juric, la società bergamasca riparte da un allenatore che conosce bene la scuola dell’uomo contro uomo ma che, allo stesso tempo, ha dimostrato di saperle dare una forma diversa. La Dea, in poche parole, non cambia pelle, ma si prepara a respirare in modo nuovo.
Negli ultimi anni l’Atalanta ha infatti costruito la propria identità su una struttura stabile - difesa a tre, pressione alta, gioco verticale e attacco a tre uomini - diventando un modello riconosciuto in Italia e soprattutto in Europa. Palladino, tecnico giovanissimo (41 anni, ndr), eredita dunque un gruppo abituato a giocare con coraggio, intensità e meccanismi precisi, ma con la libertà per intervenire sui dettagli. Ed è da qui che, alla luce del suo passato e delle caratteristiche dell’attuale rosa, proviamo ad abbozzare il probabile undici e i principi di gioco della nuova Atalanta.
PORTIERE: CARNESECCHI
Partiamo dal portiere, un punto fermo, assoluto: Marco Carnesecchi. Va detto: non è un estremo difensore da gioco di piede “pulitissimo”, ma nell’ultimo anno ha mostrato progressi evidenti nella gestione del pallone e nelle scelte sotto pressione. La sua crescita in termini di personalità e lettura dell’azione potrebbe consentirgli di diventare qualcosa di più di un semplice ultimo difensore: il primo regista basso di una squadra che, con Palladino, dovrebbe impostare partendo dal controllo, non solo dall’aggressione.
Il tecnico campano, ricordiamo, pretende che la manovra cominci dal basso, con il portiere sempre coinvolto nella prima costruzione e pronto a fungere da sostegno sicuro in caso di pressione avversaria. È un principio che Palladino ha già applicato sia a Monza, dove Di Gregorio era parte attiva nel possesso, sia a Firenze, con Terracciano chiamato spesso a impostare come un libero aggiunto. Carnesecchi non ha ancora quella naturalezza, è vero, ma ha la qualità e il carattere per adattarsi in fretta.
DIFENSORI: KOSSOUNOU, HIEN, AHANOR
In fase difensiva, la nuova Atalanta non cambierà abitudini di fondo, ma proverà a dare più equilibrio ai suoi movimenti. Palladino predilige la difesa a tre, ma vuole una linea meno frenetica e più compatta, e soprattutto capace di leggere le situazioni prima di reagire. Al centro ci sarà Hien, perno fisico e punto di riferimento. A differenza del passato, però, non sarebbe più chiamato a inseguire l’uomo fino alla metà campo: Palladino preferisce che il centrale resti in zona, pronto ad assorbire le seconde palle o chiudere le traiettorie centrali.
Ai suoi lati, due profili diversi ma complementari: Kossounou e Ahanor. Il primo ha gamba e coraggio, può uscire alto sull’uomo e aggredire anche fuori zona, sfruttando la velocità nei recuperi. L’altro è più ordinato, più di posizione, utile nelle coperture e nelle diagonali quando la palla arriva sull’esterno. È una coppia che, appunto, si bilancia, come piace a Palladino. E quando l’azione si sviluppa sulle corsie, il difensore del lato palla deve uscire con decisione, mentre gli altri due devono stringere a protezione dell’area. L’esterno, intanto, è chiamato ad abbassarsi fino a formare una linea a cinque. È un automatismo che si ripete nel gioco palladiniano: pressione del braccetto, chiusura del centrale, copertura del quinto. Così la squadra difende in avanti, ma senza perdere compattezza.
Altro punto chiave: la profondità. Palladino vuole una difesa alta, ma capace di muoversi insieme. Il passo in avanti dev’essere fatto prima che parta il lancio, non dopo. Il centrale comanda la linea, gli altri lo seguono. Se la pressione non riesce, la squadra si deve compattare e scivolare indietro tutta insieme, mai a scaglioni. L’obiettivo è evitare che i difensori restino isolati nei duelli a campo aperto, una delle criticità dell’Atalanta gasperiniana nei momenti di difficoltà. Anche i duelli molto probabilmente cambieranno forma: meno marcature a uomo, più letture preventive. Palladino chiede di difendere non sull’uomo, ma sulla linea di passaggio. In pratica, non correre dietro al pallone, ma anticiparne la direzione. È un atteggiamento che consente di recuperare alto, ma senza scomporsi. Ed è proprio da queste situazioni che nascono le transizioni, terreno fertile per una squadra con la qualità e la gamba che ha l’Atalanta.
Sui cross la linea deve restare piatta, con i tre centrali a coprire l’area e gli esterni pronti a rientrare a protezione del secondo palo. In queste fasi, il lavoro dei mediani è fondamentale: uno accorcia per dare densità, l’altro rimane pronto a ripartire. L’idea è quella di difendere, sì, ma sempre con la testa rivolta al contrattacco. Non è più la difesa tutta uomo e adrenalina vista per anni, ma nemmeno un sistema attendista. È una linea che resta aggressiva, ma con più lucidità. Palladino vuole che la squadra continui a mordere, ma scelga i momenti giusti per farlo. E questa, per un gruppo che ha vissuto di duelli per un decennio, è forse la sfida più interessante del nuovo corso.
MEDIANI: EDERSON, DE ROON
Passando al centrocampo, De Roon ed Ederson, centrali anche nella fase difensiva già citata, saranno quasi sicuramente il cuore della nuova Atalanta quando c’è da costruire. Palladino considera i mediani veri equilibratori del sistema: uno dà ordine (l’olandese), l’altro rompe le linee e “breakka”. Il concetto è quello di non aver mai due mediani fermi sulla stessa linea. Quando uno resta, l’altro si muove.
Palladino vuole un centrocampo vivo, che sappia alternare equilibrio e verticalità. Così la squadra resta corta, sempre pronta sia a costruire che a reagire in caso di palla persa. E quando il gioco si apre sulle corsie, uno dei due mediani deve scalare verso il lato palla per coprire la salita del braccetto, mentre l’altro deve restare centrale per proteggere. È un meccanismo che si ripete, semplice ma efficace, che permette alla squadra di accompagnare molti uomini in avanti senza scoprirsi.
In questo equilibrio si muove tutto il sistema. Tra le loro corse e le loro letture si regge gran parte della nuova identità dell’Atalanta: una squadra che vuole tenere la palla, ma che resta sempre pronta a ripartire.
ESTERNI: BELLANOVA, ZAPPACOSTA
Ai lati, Bellanova e Zappacosta (con Zalewski come alternativa più tecnica). Nel calcio di Palladino, gli esterni non sono solamente una fonte di ampiezza, ma anche strumenti per creare superiorità, muovere le pressioni e aprire il campo. A Monza lo aveva fatto con Ciurria e Carlos Augusto, a Firenze con Dodo e Gosens: ora tocca a loro.
Palladino ama gli esterni aggressivi e coraggiosi, pronti non solo a spingere fino al fondo ma anche a stringere dentro il campo per creare linee di passaggio e combinazioni rapide con il trequartista. La sua idea è stata sempre quella di costruire catene laterali mobili: braccetto, mediano, esterno e trequartista che ruotano insieme.
Come accade in mediana, quando uno sale, l’altro copre; quando l’esterno si allarga, il trequartista si stringe. Tutto si muove in relazione, senza posizioni fisse. Come detto, è il marchio di fabbrica del calcio di Palladino: creare superiorità in zone precise del campo per manipolare l’avversario e aprire lo spazio sul lato opposto. Gli esterni hanno, poi, anche un ruolo chiave nella fase di non possesso. Devono infatti abbassarsi per formare la linea a cinque, ma restando pronti a ripartire appena riconquistata palla. Non semplici quinti, dunque, ma veri equilibratori fra le due fasi di gioco.
ATTACCANTI: DE KETELAERE, LOOKMAN; SCAMACCA
Nel sistema offensivo, Palladino potrebbe riproporre molte delle idee che hanno caratterizzato il suo percorso a Monza e, in parte, alla Fiorentina. L’attacco, come allora, ruoterebbe intorno a due giocatori liberi di muoversi alle spalle della punta, chiamati a intrecciarsi e a leggere gli spazi più che a rispettare posizioni fisse.
De Ketelaere potrebbe così diventare il perno tecnico della manovra, l’uomo incaricato di dare ordine e tempi al possesso negli ultimi trenta metri. Nei suoi precedenti, Palladino ha sempre chiesto a chi gioca tra le linee di abbassarsi, ricevere palla, e fungere da raccordo tra centrocampo e attacco. È lo stesso principio che applicava con Colpani a Monza: un giocatore intelligente, capace di illuminare il gioco più che di finalizzarlo. Al belga toccherebbe quel compito, muovendosi orizzontalmente tra le linee, aprendo il campo e mantenendo vivo il triangolo con l’esterno e il braccetto, un meccanismo tipico delle squadre del tecnico campano.
Accanto a lui, Lookman, la componente più istintiva e verticale dell’attacco, quella che Palladino ha sempre valorizzato. Lo si è visto a Firenze con Ikone o con Kouame: esterni o seconde punte chiamati ad attaccare il corridoio tra terzino e centrale, con movimenti diagonali e ricezioni in corsa orientate verso la porta. All’Atalanta, il nigeriano potrebbe replicare proprio quella funzione: puntare l’uomo, rompere la linea con il dribbling e creare superiorità numerica negli ultimi metri. Quando l’avversario si chiude, Palladino affida a questo tipo di giocatori la libertà di improvvisare: un dribbling, un taglio improvviso, un movimento fuori copione che spezzi la staticità. La libertà, però, resta incastonata in una struttura organizzata: ognuno è libero di esprimersi, ma sempre dentro i binari collettivi.
(L’assenza del nigeriano durante la Coppa d’Africa potrebbe aprire però nuove soluzioni. A Monza, Palladino ha spesso alternato il 3-4-2-1 al 3-4-1-2, adattando i suoi uomini al momento e agli avversari. Non è escluso che a Bergamo opti per un trequartista più puro dietro due punte mobili, o per un De Ketelaere più centrale con licenza di svariare. L’idea, in ogni caso, resterebbe la stessa: muovere la difesa avversaria attraverso rotazioni continue e creare spazi per chi arriva da dietro)
Davanti, Scamacca, un tipo di attaccante che Palladino apprezza da sempre: tecnico, intelligente, capace di partecipare al gioco. Non un semplice terminale, ma un regista avanzato che lega i reparti: venire incontro, far da sponda, aprire varchi per gli inserimenti di Ederson o per i tagli di Lookman. Quando la squadra riesce a verticalizzare, Scamacca deve invece attaccare la profondità, allungando la difesa e offrendo un punto di riferimento costante. Krstovic, più fisico e diretto, sarebbe l’alternativa utile nei finali di gara o contro difese chiuse. A differenza di Scamacca, darebbe più profondità e presenza in area, caratteristiche che Palladino ha spesso sfruttato quando serviva concretezza più che palleggio.
Probabile formazione di Palladino all’Atalanta
3-4-2-1: Carnesecchi; Kossounou, Hien, Ahanor; Bellanova, Ederson, De Roon, Zappacosta; De Ketelaere, Lookman; Scamacca.
Autore: Nicholas Reitano / Twitter: @NicoReitano
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