Scamacca, l'Atalanta e la Nazionale: è sempre il contesto a fare la differenza

Gianluca Scamacca

Finalmente è finito questo strazio. L'Italia è stata eliminata dagli Europei al termine di una prestazione imbarazzante contro una Svizzera superiore in tutto. A lasciare basiti, in questo zoppiccante percorso azzurro, non è tanto la pochezza tecnica dell'intera squadra, ma soprattutto il costante senso di improvvisazione che ha avvolto l'intera spedizione. Moduli e interpreti cambiati in continuazione, comunicazione approssimativa, poche idee e ben confuse. 

L'Italia non è l'Atalanta: Scamacca messo in croce 

A farne le spese, tra gli altri, è stato Gianluca Scamacca. Su di lui, infatti, si sono addensate per tutto l'Europeo grandi nubi nere, fatte di critiche e pressione. La colpa? Inutile nascondersi, è di Luciano Spalletti. È stato il commissario tecnico ad addossare sull'attaccante dell'Atalanta responsabilità non sue. Lo ha fatto punzecchiandolo a ogni conferenza stampa e non tutelandolo di fronte alle critiche di molti personaggi del mondo del calcio

Certo, qualcuno potrebbe obiettare e dire che Scamacca è "grande e vaccinato" e non ha bisogno di qualcuno che lo difenda. Nel calcio però, come in molti aspetti della vita, è il contesto a fare la differenza e l'Europeo andato in archivio lo ha dimostrato: la Nazionale non è l'Atalanta e Scamacca non è mai sembrato a suo agio, non riuscendo ad esprimersi al meglio. 

Le parole di Bergomi e l'isolamento di Scamacca 

Non lo diciamo solo noi. "Io sto con Donnarumma quando dice che non siamo questi. Lì c’è gente che ha fatto finali di Champions ed Europa League. È il contesto, bisognava mettere i giocatori nella condizione di dare il massimo", ha detto Beppe Bergomi al termine del ko con la Svizzera. Un contesto che non ha aiutato per nulla Scamacca. Non soltanto a causa della gestione comunicativa, ma anche dal punto di vista tecnico. In quattro partite, i palloni giocabili giunti sui piedi dell'attaccante della Dea si contano sulle dita di una mano. Non solo: l'impressione è sempre stata quella del più totale abbandono. Centrocampo distante, nessun supporto. Risultato? Soffocato dalle difese avversarie. E per un giocatore tanto bravo ad esaltarsi, nel giusto contesto, quanto a spegnersi nelle giornate "no", è stata la fine. 

I limiti di Scamacca e la gestione del Gasp 

Ora, sgomberiamo il campo dai possibili dubbi: anche Gianluca ha le sue responsabilità. È sembrato spento, come gran parte dei suoi compagni, senza lo stesso fuoco visto in questa stagione con la maglia nerazzurra. E quelle poche volte che ha avuto la possibilità di pungere, non ha saputo essere letale, vedi il palo contro la Svizzera. Scamacca, quindi, ha ancora grandi margini di crescita e deve lavorare sia sul piano tecnico sia, soprattutto, su quello mentale. Questa, però, non è una sorpresa. Stiamo comunque parlando di un classe 1999. A lasciare perplessi è, come già detto, la sua gestione, così diversa da quella vista a Bergamo. Il Gasp, anche in questo caso, si è dimostrato un maestro. Bastone, almeno all'inizio, ma anche tante carote, quando è arrivato il momento. E, soprattutto, mai un carico di responsabilità troppo alto sulle spalle del ragazzo, che ha avuto la pazienza di aspettare e che ha visto esplodere nel momento decisivo della stagione. Tutto il contrario di quanto fatto da Luciano Spalletti