di Tommaso Revera 3 Apr 2024 12:03
Poniamoci per un attimo nei panni di un presidente di una squadra di calcio che milita nella massima serie professionistica: preferireste assumere un allenatore vincente ma dall’ingaggio proibitivo e con una ‘lista della spesa’ lunga da qui a Milano oppure propendere per un allenatore dalle richieste certamente più morigerate, in grado di valorizzare i talenti scovati in Italia e in Europa (con l’aiuto di un buon diesse) e capace di conseguire traguardi sportivi persino al di sopra delle aspettative societarie? O per essere ancora più diretti: ritenete più bravo un allenatore capace di vincere con una squadra di ‘figurine’ o un altro capace di lottare per una posizione di vertice (battagliando con società ben più blasonate e strutturate) disponendo di un mix di giocatori composto da calciatori affermati e potenziali talenti ancora da affinare, sgrezzare e far definitivamente emergere?
Dovremmo essere tutti concordi, quindi, nel considerare Gian Piero Gasperini uno dei migliori allenatori in circolazione a prescindere dai trofei in bacheca. Un tecnico capace di portare (e stabilmente) l’Atalanta nel calcio che conta, una persona che sa come far germogliare il talento, una guida carismatica in grado di riprogrammarsi ogni anno contando su un ‘parco giocatori’ il più delle volte rinnovato e privato dei suoi migliori top player. Non è un caso, dunque, se anche nell’ultima puntata di Sky Calcio Club Fabio Caressa e i suoi ospiti si siano soffermati sulla bravura del Gasp. Statistiche alla mano l’unico insieme a Pep Guardiola, che più ha cambiato il calcio negli ultimi tempi. “Tutti si rifanno a lui e ha numeri pazzeschi - ha affermato Caressa in studio: è primo per xG, rating e precisione dei tiri delle proprie squadre. Senza un certo carattere, probabilmente, avrebbe potuto fare una carriera ancora superiore. E quest’anno c’è l’obiettivo di sollevare un trofeo…”.
Due fondamentalmente le correnti di pensiero dei pochi che non lo ritengono tra i migliori: c’è chi non lo sopporta perché, ad onor del vero, la simpatia non risulta essere la sua qualità primordiale e chi gli rinfaccia una bacheca completamente scarna di trofei. Se sulla prima obiezione sarebbe superfluo rispondere, sulla seconda, invece, è bene chiarire l’aspettativa originaria: dando per scontato tutto l’affetto sportivo per la Dea, crediamo davvero possa vincere lo scudetto ai danni di corazzate come Milan, Inter e Juventus? Nel calcio moderno è un’utopia, un qualcosa di veramente inimmaginabile. Rispetto ai tempi del Leicester campione d’Inghilterra nella stagione 2015/2016, infatti, sembrano passati mille anni. Il potere economico e la caratura dei top club italiani paragonati alla dimensione dell’Atalanta sembrano un qualcosa oggettivamente di irraggiungibile. Questo non significa che il gap negli ultimi anni non si sia accorciato, segno del brillante lavoro svolto da tutte le componenti dirigenziali che lavorano a Zingonia, ma la strada per colmare un simile divario è ancora lunghissima.
È incredibile pretendere qualcosa in più rispetto a quanto raggiunto da Gasperini nei suoi otto anni di gestione della Dea dal 2016/2017 ad oggi. Quattro volte su sette si è piazzato tra le prime quattro della classe in campionato, per ben due volte ha centrato la finale di Coppa Italia (ed una ricordiamo tutti come è andata) e in Europa ha conseguito traguardi per certi versi inimmaginabili: al di là dei vari passaggi agli ottavi, nel bilancio Champions dei nerazzurri brilla ancora la storica qualificazione ai quarti di finale del 2018-2019 in occasione della partita persa soltanto nelle battute finali contro il Paris Saint Germain (non proprio la Caratese di turno). Quest’anno la squadra è nella competizione europea meno nobile avendo chiuso al quinto posto lo scorso anno ma non solo si giocherà la possibilità di approdare alla semifinale di Europa League contro il Liverpool ma anche l’opportunità di centrare una terza finale di Coppa Italia nel doppio confronto che la vedrà di fronte alla Fiorentina. Senza contare lo strepitoso rendimento in campionato che la pone (ancora una volta) tra le squadre più accreditate per una nuova qualificazione in Champions, a maggior ragione se, come pare, il ranking accreditasse anche la quinta classificata del nostro campionato.
In sintesi abbiamo snocciolato solo alcuni dei più lusinghieri traguardi sportivi conseguiti dal tecnico di Grugliasco ma, in questa analisi, oltre a non parlare del record di reti siglate, di un gioco totale a tratti olandese e della filosofia dell’uno contro uno divenuta oggi di moda ma di cui Gasperini è stato certamente il precursore nel nostro Paese, non abbiamo fatto alcun cenno alla sua straordinaria capacità di accrescere il valore dei calciatori in rosa. C’è un altro allenatore in circolazione capace di valorizzare il proprio parco giocatori come ha fatto il Gasp in questi anni? No, come dimostrano le plusvalenze conseguite stagione dopo stagione e grazie alle quali la società ha sempre chiuso con bilanci in attivo. Un esempio su tutti? Con la cessione di Romero al Tottenham avvenuta nell’estate 2021, per dirne una, le plusvalenze per l’Atalanta dell’era Percassi hanno superato i 400 milioni di euro. Dal 2010, anno in cui la famiglia dell’imprenditore di Clusone ha acquisito la maggioranza del club nerazzurro, le operazioni di mercato hanno rappresentato una fetta rilevante di entrate per la società, pari a circa il 25% rispetto ai ricavi considerando i bilanci dal 2010 al 2022 (senza contare che in questo arco temporale l’Atalanta ha perfezionato l’acquisto dello stadio e che oggi ne ha quasi concluso i lavori di ristrutturazione). Ben venga dunque, a patto fosse vero, il riconoscimento di un premio extra per la plusvalenza di un giocatore che l’allenatore, nel tempo, ha saputo far crescere, maturare e lanciare nell’olimpo dei migliori. Solo un tecnico consapevole della propria forza accetterebbe uno stipendio meno pretenzioso ma con la prospettiva (come avviene per altro in tutti i lavori del mondo) di un bonus al raggiungimento della maturità calcistica di un proprio tesserato che, tradotto in gergo calcistico, significa una cospicua plusvalenza per la propria società di appartenenza.
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